L’organizzazione

Una entità in buona parte ancora sconosciuta

L'autore
Paolo Monari, Senior Scientist e Head of Research della società Mays International

    Una persona umana è fatta di atomi. Ma a questo livello, non sappiamo ancora niente dell’uomo. A un livello superiore, una persona umana è fatta di cellule, di tipo diverso, originatesi tutte da una sola cellula e tutte in possesso dell’intero codice genetico. Ma anche a questo livello non sappiamo ancora niente dell’uomo nel suo complesso. Da un punto di vista più allargato, possiamo dire che l’uomo è fatto di diversi sistemi funzionali: respiratorio, cardio vascolare, nervoso, osseo, muscolare e così via. Oppure che è composto di arti: le braccia, le gambe, la testa, eccetera ed esplicitare le loro funzioni.

    E rimaniamo ancora con la consapevolezza di aver descritto solo una piccola parte di cos’è un uomo.

    Per andare oltre non ci basta sapere come è fatto e di cosa è fatto un uomo in senso “statico” e “morfologico”. Dobbiamo andare ad analizzare cosa “fa”, cosa “pensa”, cosa “vuole fare” e cosa “è capace di fare”. Il che implica una analisi dinamica di come la persona umana utilizza le sue funzioni e i suoi sistemi. Di come, in ultima analisi, la persona umana vive. Come definisce e raggiunge i suoi scopi.

    Analogamente nelle organizzazioni: non basta analizzarne le funzioni, i sistemi, la morfologia: occorre capire come agiscono, come stabiliscono e raggiungono i loro obiettivi, cosa fanno e cosa pensano.

    È quindi sicuramente necessario scomporre una organizzazione in componenti, capire quali sono gli enti in cui si struttura e le funzioni che questi enti esercitano. Facendo così ne analizziamo la struttura “statica”, descriviamo il suo organigramma e il suo funzionigramma, cioè come vengono divisi lavoro e responsabilità. Ma questo non basta. Occorre descrivere come si compongono tra loro le diverse attività, come fanno le diverse funzioni a raggiungere l’obiettivo complessivo e come questo obiettivo viene definito e modificato.Così facendo ne analizziamo la struttura “dinamica”.In termini tecnici, ne descriviamo i “processi”.

    Svolgendo questa analisi scopriamo la profonda interconnessione tra la parte statica e quella dinamica, tra il “cosa” e il “come” e ci rendiamo conto che è impossibile definire la struttura senza aver prima definito i processi interfunzionali. Ci accorgiamo anche che mentre dedichiamo molta attenzione alla struttura, ne dedichiamo pochissima ai processi. E che è da una profonda rivisitazione dei processi che nascono sia l’efficienza che lo sviluppo.

    Come accade nella descrizione della persona umana e in tutte le analisi di sistemi complessi, scopriamo che le parti non sono compiute e descrivibili in sé, ma solo nella loro interconnessione e che per capire bene (e intervenire su) un ente o una funzione, non basta approfondirla, ma è necessario vederla in un tutt’uno con il resto del sistema.

    E così come accade nella descrizione della persona umana, scopriamo che l’organizzazione è un ente ibrido, che risponde alle regole dei sistemi fisici, meccanici, ma anche alle regole di sistemi “pensanti”. Che queste regole sono molto diverse tra loro, spesso opposte, ma che devono convivere e integrarsi.

    Scopriamo che anche le “cellule” dei sistemi organizzativi – cioè i “gruppi” - non sono tali se non contengono gli elementi essenziali della intera organizzazione:in estrema sintesi, una attività che abbia senso e uno scopo comune, che non si può raggiungere se non cooperando. E che quando questo avviene, i gruppi su cui si può utilmente articolare l’intera struttura, cambiano configurazione, diventano interfunzionali, si connettono direttamente alla missione dell’azienda, danno significato al lavoro nel loro interno.

    Scopriamo che le regole dello sviluppo impongono il riconoscimento degli opposti: integrazione e differenziazione, accentramento e decentramento, conservazione e innovazione, tanto per citarne alcuni. E che non si deve mediare, bensì realizzare il massimo delle opposte posizioni. Mentre invece normalmente le nostre organizzazioni sono capaci di perseguire questi opposti solo uno per volta, con grandi e costosi inerventi organizzativi, oppure li mediano, annacquandoli.

    Scopriamo ancora che non si può, come dice Pascal, conoscere le parti se non si conosce il tutto e conoscere il tutto se non si conoscono le parti. E che questo comporta un continuo “rimpallo” tra la visione dell’insieme e quella del particolare, tra la vista locale, molto concreta e particolare e la vista generale, tra il brevissimo termine e un orizzonte temporale strategico. Mentre invece troppo spesso i progetti sono all’insegna di una sola delle due opposte viste.

    Scopriamo infine che non solo non c’è contraddizione tra le opposte regole dell’individualismo e del collettivismo, ma cheil maggiore– e ancora incompreso e sottostimato – vantaggio, risiede nel valorizzareogni persona al massimo come persona e far sì che ogni persona sia inserita nel “giusto” gruppo. E che non si può funzionare al massimo se non imparando ad attivare contestualmente queste due grandi ricchezze: la grande ricchezza del capitale cognitivo, emotivo, relazionale di ogni persona e il fattore moltiplicativo di un buon gruppo cui si è ritagliato un lavoro che ha senso nel complesso quadro di ogni azienda.

    Ci accorgiamo allora quanto siano inadeguati i nostri paradigmi organizzativi e quanta strada abbiamo davanti per far fare alle nostre aziende un indispensabile salto di qualità.